Il Tango e l’eguaglianza di genere

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Il tango continua ad evolversi e doveva diventare anche questo: un ballo per i diritti umani e per la memoria.

Quando ho letto che era stato organizzato il primo incontro di Tango contro l’omofobia me ne sono interessata e ho voluto approfondire.

D’altronde, il Tango fin dagli esordi era stato considerato un oltraggio alla morale. Noi argentini conosciamo il suo rapporto ambivalente con il potere e sappiamo che spesso è stato contestatario. Ballato prima nei postriboli, poi nei locali raffinati, censurato durante la dittatura e riconquistato dai giovani con il ricupero della democrazia, il Tango non è mai taciuto ma con l’esplosione del fenomeno globale e nel seguire ogni evoluzione dell’uomo, del suo antico carattere maschilista non è rimasto che un vecchio retaggio e sta diventando un veicolo tramite cui lottare per l’unico diritto veramente importante nella vita: il diritto alla libertà.

All’interno del movimento lgbt, nome collettivo che raggruppa organizzazioni e associazioni con l’obbiettivo comune di tutelare la condizione sociale, culturale, umana, giuridica e politica delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, nasce il Tango queer. Questo ha permesso che le coppie gay potessero ballare insieme e una volta decostruito il concetto per cui l’uomo “comanda” e la donna segue, iniziare a concepire la danza come dialogo, scambio e costruzione comune.

Questa differenza sostanziale non riflette solo sulla disuguaglianza di genere ma diventa anche una questione d’inclusione. Se pensiamo anche a delle persone non vedenti, come avrebbero potuto oggi essere invitate nella pista da ballo solo tramite la modalità del “cabeceo” o testata (all’italiana)?

El cabeceo era stato ideato a modo di codice per non umiliare l’uomo con un rifiuto. Se la donna non gradiva essere invitata faceva finta di non aver visto questo gesto da parte dell’uomo.

Racconta Edgardo Fernandes Sesma, organizzatore della milonga “Despelote Tango”, che una volta gli assidui alle milongas non si mostravano assolutamente interessati alle tematiche sociali, ma che ora le cose stanno cambiando. Nel 2012 organizzava lui stesso il primo Tango contro l’omofobia, e tutti i ballerini indossavo per l’occasione cartelli con i nomi dei paesi in cui l’omossessualità veniva ancora considerato un reato.

Questo fu il primo di tanti altri passi come per esempio il Tango per l’identità, in onore delle nonne di Plaza de Mayo a Buenos Aires, il Tango contro la transfobia, in virtù dei tanti omicidi di persone trans, fino ad arrivare addirittura alla lotta contro il maltrattamento e l’abbandono degli anziani.

C’è poi chi è andato avanti e ha portato il Tango negli spazi di memoria, quali prigioni in tempi della dittatura, campi di concentramento e c’è chi lo ha portato e lo porta anche nelle villas (favelas) ed in carcere.

Non si tratta di portare un ballo qualunque; il Tango è molto più di un ballo: è l’abbraccio che ha permesso agli uomini, da decenni, di sentire il battito di un’altra persona accanto -anche in situazioni di dolore e di ingiustizie- e che oggi diventa un simbolo in memoria del battito di vita di altri corpi che furono torturati, seviziati, dimenticati.

Se il Tango ha deciso di esprimersi a favore dei diritti umani, mi auguro che risuoni sempre di più.

Quanto serva, e incessantemente.

Ivanna Speranza