In più occasioni ho detto che non ho quasi ricordi privi di aneddoti musicali: ho sempre cantato e gli anni più spensierati, quelli inziali, quelli in cui non avevo alcuna nozione della tecnica e delle regole di una giusta emisione vocale sono stati quelli in cui il mio canto era in balia delle mie più istintive emozioni; quelli in cui loro dominavano me. Cantavo senza saperlo fare perché sentivo di avere tanto da dire ma non sempre riuscivo a raggiungere tutte le note. Ero addirittura convinta di non poter fare nessun acuto.
Dedicai successivamente molti anni all’educazione del mio organo vocale e alle varie tecniche, musicali e canore, che mi hanno permesso di plasmare e canalizzare in modo consapevole le mie emozioni in conformità con le richieste stilistiche e di genero, insieme a quelle suggerite dai personaggi che ho interpretato o accondiscendendo direttori di scena e autori di testi teatrali.
Lavoro appassionato e appassionante.
Molti mi chiedono con semplicità “non ti si rompe mai la voce”? “Non provi mai paura prima di salire sul palco?” “Cosa fai quando senti di avere un calo di voce? A me succede spesso e non sono una cantante!”
In realtà non so cosa sarebbe successo a quella voce naturale ed energica che avevo da bambina se ad un certo punto non avessi studiato canto. Sarebbe sana quanto oggi? E perché non dovrebbe poter cantare con felicità chi non è un cantante di professione?
Se mi avessero chiesto da “non cantante professionale” di esibirmi ad una festa di compleanno senza gli anni di studio che oggi posseggo, sarei riuscita ad evitare il “calo di voce” dovuto alla paura o allo stress?
E, ribadisco, per quale motivo l’approfondimento in questioni di suono (e del meccanismo complesso che lo genera) viene spesso relegato solo a chi esercita o vuole esercitare il canto in modo professionale, essendo la voce il veicolo primordiale che abbiamo di comunicazione nel nostro vivere quotidiano?
Impariamo a scrivere, a guidare una macchina, a sciare, a farci le pieghe ai capelli, impariamo a camminare sui tacchi o a lanciare un pallone in porta lungo tutto il liceo, ma se qualcuno ci registra mentre parliamo, il più delle volte non vogliamo nemmeno ascoltarci. E perché?
Uno dei motivi fondamentali è che ci emozioniamo: d’altro canto senza emozioni non potremmo vivere. Le emozioni sono il nostro combustibile e anche la fonte delle nostre paure. Tutto si può mascherare, tranne la voce.
Dal suono, dal timbro, dal ritmo, dall’altezza tonale, dalla velocità delle nostre parole e da alcuni involontari meccanismi nella nostra gestualità, chi ci conosce saprebbe definire come stiamo solo dal modo in cui rispondiamo a un saluto.
Per questo motivo, non si può prescindere dall’emotività quanto all’importanza di saperla decifrare, per avere un buon rapporto con la propria voce e una maniera più assertiva di comunicare con il mondo esterno.
La voce, come dicevo prima, è un veicolo. E’ anche un contenitore in attesa di ciò che vorremmo esprimere; ma se l’utilizzo della propria voce non è consapevole, tante volte il messaggio arriva al destinatario con una busta diversa e che non rimanda davvero al mittente. Non rimanda a quello che siamo perché ci stiamo rivolgendo agli altri da una sfera di non verità ma di filtri ed strutture che ci allontanano anzichè avvicinarci a persone e situazioni che in realtà desideriamo.
Riconciliarsi con la propria voce serve a proteggerci da tutto ciò che non è salutare. Una voce che riconosciamo come “nostra” è il primo passo nella condivisione consapevole con gli altri delle nostre idee, le nostre necessità, le nostre convinzioni e le nostre richieste di aiuto.
Ogni emozione mette in atto un’attivazione fisiologica e una serie di modificazioni a livello del sistema nervoso: cambiamenti nella frequenza cardiaca, nella risposta musculare, nel livello di ossigeno nel sangue, e non solo tutte uguali. Se dovessimo dividerle in categorie potremmo dire che ci sono quelle primarie come la paura, la rabbia, la tristezza, la gioia, il disgusto, la sorpresa, e quelle secondarie quali la vergogna, il senso di colpa, la frustrazione.
Tutte queste emozioni parleranno con noi e di noi tramite la nostra voce.
Quando Nellie Melba scrisse il suo trattato di canto, ennunciò qualcosa di straordinario nelle prime pagine “Per cantare bene serve essere felici”.
La voce diventa chiara e limpida quando abbiamo imparato a gestire la “convivialità” tra tutte queste emozioni e l’autostima guarisce da eventuali ferite tanto da consentirci un’idea costante di realizazzione e di capacità di mettere in luce le nostre potenzialità.
Se volete approfondire, vi aspetto in accademia o potete scrivermi privatamente.
Spero di poter accompagnare sempre più persone vad essere sereni quando cantano ed in generale, nel proprio rapporto con lo strumento, nel tentativo di restituirgli il dovuto protagonistmo in quel ruolo potente e necessario: rivelare al mondo la nostra identità.