Avevano detto che lei non era nata per per produrre idee, ma lacrime. Che non era venuta al mondo per vivere la vita, ma per spiarla dalle finestre mezze chiuse degli altri.
Invece lei non ci hai creduto ed è diventata la Alfonsina che vorremmo ancora viva, tra di noi.
Figlia di un industriale della birra, Alfonsina nacque nel Canton Ticino, cantone italofono svizzero, dove apprese dai genitori la lingua italiana prima di trasferirsi con la famiglia in Sudamerica, all’età di quattro anni.
I genitori si stabilirono a Rosario, Argentina, dove aprirono una trattoria, ma l’andamento incerto degli affari costrinse Alfonsina a lavorare fin da giovanissima come lavapiatti, cameriera, cucitrice e operaia.
Era arrivata a Buenos Aires con scarpe vecchie dal tacco storto e un figlio in grembo senza padre legale. Rubava formulari del telegrafo per scrivere le sue poesie e non si fermò mai fino a farsi largo nel mondo maschile dell’epoca. La condizione di ragazza-madre, il desiderio di proteggere ò’intimità dei propri affetti, la necessità di affrontare da sola i problemi della vita, determinarono in lei un atteggiamento di aperta sfida e contrpposizione ai pregiudizi sociali e alla morale vigente.
Studiò e conobbe con diversi letterati tra cui Borges, Pirandello, Marinetti e Garcia Lorca. E’ stata anche insegnante di letteratura e fu parte attiva nell’organizazzione delle biblioteche popolari socialiste di Buenos Aires e lavorò come giornalista sotto lo pseudonimo di Tao Lao.
Ricordo che ero ragazza quando imparai la canzone che due grandi artisti le avevano dedicato, “Alfonsina y el mar”. Gabriela Mistral, altra altrettanto nota poetessa cilena, aveva dato parole alla struggente melodia di Ariel Ramirez.
E’ diventata tra le mie preferite e l’ho cantata tutta la vita tanto da inserirla in programma a Seoul in una tournèe di concerti lirici. Ricordo che aveva emozionato tutti pur non conoscendo, loro, la storia di Alfosina e la sua tragedia.
Ogni volta che leggo sui giornali che una grande donna riesce in una nuova conquista -sia nel sociale che nella vita personale- rivendicando i propri ed i nostri diritti, mi viene in mente anche lei.
Volevo condividere con voi una delle sue poesie, brevissima. Una di quelle che oggi apprezzo di più rispetto ad altri momenti della mia vita e che mi tocca nel profondo proprio perché non è che una supplica pacifica, un riassunto che non necessita altro perché ha con sé l’unica forza che rimane quando non si hanno più forze, quella della saggezza senza rimproveri e, proprio per questo motivo, capace da lasciarmi in silenzio per qualche secondo, come un Ave Maria che non si dovrebbe applaudire.
Forse il suo spirito sia rimasto qui, in tutti noi che ricordandola continuiamo, nel nostro piccolo, la sua opera di fermezza, di valori e di diritto di ascolto nella femminilità.
“Uomo, io voglio che tu comprenda il mio male, uomo, io voglio che tu mi dia dolcezza, uomo, io vado per i tuoi stessi sentieri; figlio di madre: comprendi la mia pazzia…”
Alfonsina Storni, poetessa che scelse di morire in mare nel 1938, dopo una insidiosa malattia.